Mastoplastica Additiva
Chirurgia del Seno

Rappresenta l’intervento di chirurgia del seno oggi più comunemente praticato alle nostre latitudini. Consiste nel posizionamento di una protesi mammaria al di sotto della mammella, in modo da aumentarne volume e proiezione: viene praticato sia nei casi di seno iposviluppato (ipoplasia), che di seno “svuotato” da allattamenti o dimagrimenti (ipotrofia).
Le protesi sono generalmente costituite da un involucro siliconico che racchiude un gel di silicone medicale allo stato fluido o coesivo (più compatto), ovvero che può essere riempito da soluzione fisiologica al momento dell’intervento. Esistono anche protesi contenenti sostanze alternative al silicone, che però non hanno trovato il favore della maggioranza dei chirurghi. Riguardo alla forma, le protesi mammarie si dividono in due grandi categorie: rotonde ed anatomiche (a forma di goccia), entrambe fornite di involucro testurizzato (ruvido). Le protesi anatomiche generalmente contengono un gel più denso, cosiddetto “coesivo”, che comporta indubbi vantaggi sia sotto il profilo della sicurezza, che della permanenza del risultato estetico. La loro particolare geometria e la deformabilità del gel coesivo impongono un accesso sufficientemente ampio e fanno preferire la sede sottopettorale a quella sottoghiandolare.
INTERVENTO DI MASTOPLASTICA ADDITIVA
Inserimento di protesi rotonde o anatomiche (a goccia), al di sotto della ghiandola mammaria ovvero, più profondamente, al di sotto del muscolo pettorale.

La sede delle protesi può essere quindi sottoghiandolare (superficiale: figura di sinistra) o sottopettorale (profonda: figura di destra). La prima è proponibile quando esista una ghiandola con una base sufficientemente ampia da offrire un’adeguata copertura alla protesi. La seconda offre maggiori garanzie di naturalezza e soprattutto evita l’effetto
“scalino” che spesso si determina sul polo superiore del seno quando la protesi sia posizionata troppo in superficie.
TECNICA:

l’accesso può essere circumareolare (lungo il contorno inferiore dell’areola, sottomammario (4 – 5 cm. nel solco sottomammario), ovvero transascellare.
Quest’ultima strada è tuttavia meno compatibile con l’impiego di protesi anatomiche in gel coesivo, perché non permette un adeguato controllo della posizione finale della protesi stessa. Viene descritto ed impiegato da alcuni chirurghi anche l’accesso transombelicale: si tratta tuttavia di una tecnica praticabile soltanto per l’inserimento di protesi vuote, che vengono riempite con soluzione fisiologica a posizionamento avvenuto.
DURATA MASTOPLASTICA ADDITIVA
La durata dell’intervento è di 2 ore circa, quindi è relativamente breve.
Nel caso sia stato eseguito in anestesia locale qualsiasi sia l’anestesia adottata, la paziente può tornare a casa in giornata.
In caso di ricovero in Casa di Cura, non sussistendo peraltro un vantaggio economico con la dimissione immediata, si è soliti consigliare l’uscita dalla clinica il mattino successivo all’intervento.
ANESTESIA MASTOPLASTICA ADDITIVA
Preferibilmente generale, ma possibile anche in anestesia locale.
La tecnica per infiltrazione locale permette di eseguire tutti i possibili interventi di mastoplastica aumentativa, tuttavia l’anestesia generale garantisce una copertura senz’altro più efficace dagli stimoli dolorifici e permette un miglior comfort operativo al chirurgo. Questa procedura anestesiologica (generale) va presa in maggior considerazione nel caso dell’aumentativa sottopettorale, in quanto trattasi di una tecnica indubbiamente più indaginosa di quella sottoghiandolare.
REGIME
Generalmente con 1 giorno di ricovero, ma eccezionalmente è possibile anche in via ambulatoriale.
POST OPERATORIO MASTOPLASTICA ADDITIVA
Poco impegnativo per l’intervento più superficiale (sottoghiandolare); qualche giorno di maggior disagio nel caso dell’impianto sottopettorale.
In generale, non è particolarmente gravoso. Logicamente i dolori saranno maggiori nel caso dell’aumentativa sottopettorale, ma in ogni caso la paziente è autonoma dai primissimi momenti, non è mai obbligata ad osservare riposo a letto e dopo pochi giorni può riprendere le sue normali attività. E’ portatrice di una medicazione o di un particolare reggiseno (uniformemente elastico e morbido), che ha il compito di custodire il seno durante il periodo della cicatrizzazione (15-20 gg.).
In alcuni casi, specie a seguito della tecnica sottopettorale, il chirurgo lascia due piccoli drenaggi che permettono l’aspirazione all’esterno del siero che tende a raccogliersi nella tasca mammaria. E’ un presidio importante perché riduce notevolmente l’incidenza di eventuali complicanze (ematoma, infezione, contrazione capsulare).
COMPLICANZE MASTOPLASTICA ADDITIVA
Le più importanti complicanze del postoperatorio immediato sono quelle comuni a tutti gli interventi chirurgici (ematoma, infezione), ma fortunatamente si tratta di eventualità che si verificano molto raramente. E’ più facile invece possa determinarsi una complicanza più tardiva (nell’arco dei primi 6 – 9 mesi) e caratteristica di questa procedura chirurgica. Ci si riferisce alla cosiddetta “capsula”. Si tratta di un involucro fibroso che si forma sempre attorno alla protesi, ma che solo in alcuni casi tende ad ispessirsi ed a retrarsi, così determinando un indurimento ed a volte anche una deformità del seno affetto.
Nelle pazienti da me operate questo problema, utilizzando dei nuovi modelli di protesi a superficie “testurizzata” (ruvida), l’impiego di un drenaggio postoperatorio ed il posizionamento della protesi in uno strato più profondo (sottomuscolare), è divenuto molto meno frequente che in passato.
Va tuttavia precisato che, qualora tale evenienza dovesse verificarsi, è facile correre ai ripari e risolvere il problema sottoponendosi ad una procedura chirurgica (capsulotomia), generalmente rapida, ambulatoriale e quasi sempre eseguibile in anestesia locale. Nei casi più gravi e soprattutto in quelli ostinati e recidivanti, si può rendere necessaria l’asportazione in toto della capsula (capsulectomia): una procedura più complessa della precedente, ma che può essere eseguita ugualmente in via ambulatoriale.
Riassumendo:
· Complicanze Immediate: ematoma ed infezione (come per qualsiasi intervento chirurgico ed in generale abbastanza rari).
· Complicanze a distanza: contrazione della capsula che avvolge la protesi con indurimento o addirittura deformazione del profilo mammario.
Rimedi: l’ematoma, se modesto, può essere fatto riassorbire spontaneamente, altrimenti va aspirato.
L’infezione (più rara) prevede la terapia antibiotica ed “in extremis”, la rimozione della protesi.
La contrazione capsulare (complicanza più facile a verificarsi rispetto alle precedenti) non viene trattata se di grado lieve, altrimenti prevede un intervento di “capsulotomia o capsulectomia” (incisione o rimozione dell’involucro fibroso che costringe la protesi), che può essere eseguito anche in anestesia locale ed in ogni caso ambulatorialmente.
STABILITA’ DEL RISULTATO
Le protesi sono stabili ed i risultati duraturi. In genere le pazienti colgono l’occasione di un rimodellamento complessivo (quasi sempre un lift dell’areola/capezzolo), per sostituire le “vecchie” protesi con modelli più moderni ed aggiornati.
Quando l’intervento è eseguito correttamente, la scelta della protesi è stata adeguata e non intervengono complicanze di sorta, i risultati sono estremamente gratificanti. Bisogna ricordare tuttavia che non tutti i seni “aumentati” sono uguali, nel senso che un seno svuotato da plurimi allattamenti, qualora “riempito”, non somiglierà mai a quello di una giovane che mette le protesi per costruire un seno mai posseduto.
Sono solito classificare le candidate all’ intervento come casi di :
- ipoplasia : carenza congenita di tessuto mammario, a volte più marcata a livello del polo inferiore della ghiandola.
- ipotrofia: diminuzione, acquisita durante la vita, di tessuto mammario ghiandolare e/o adiposo.
- ipotrofia con ptosi: quando il caso precedente (2 ) si complica per estremo eccesso di pelle, per cui l’areola cade al di sotto del solco mammario.
Per il chirurgo, passare dai casi di ipoplasia a quelli di ipotrofia e poi addirittura di ptosi mammaria, significa doversi confrontare con un problema di mantello cutaneo: generalmente scarso e tonico nei primi, esuberante ed anelastico negli ultimi. In poche parole questo comporta seni tesissimi nei casi di ipoplasia e necessità di asportare l’eccesso di pelle nei casi di ptosi. E’ intuitivo che le condizioni migliori e quindi i risultati esteticamente più gratificanti appartengono al secondo gruppo, ovvero a quello dell’ipotrofia pura, ove effettivamente la chirurgia protesica compensa il deficit di volume prodotto da un processo involutivo che ha interessato la ghiandola e/o il tessuto adiposo mammario.
Sulla base di tali considerazioni, non si deve ritenere di poter riprodurre su se stesse la copia esatta del seno di un’attrice famosa o di altro personaggio dello spettacolo. E’ il caso di dire che ogni torace merita il suo seno.
Per concludere, mi sembra corretto ribadire che una protesi anatomica, posta al di sotto del muscolo pettorale, rappresenta la scelta più adeguata per un risultato stabile, naturale ed esteticamente valido.
COSTO MASTOPLASTICA ADDITIVA
Per una stessa equipe chirurgica, possono variare a seconda delle protesi prescelte, della durata dell’intervento, della struttura (Clinica, Day Hospital, ecc.) nella quale esso si svolge e della durata della degenza.

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