Chirurgia Intima Femminile
DAL LIPOFILLING UN GRANDE SOLLIEVO PER L’INTIMO FEMMINILE
L’impiego del tessuto adiposo come “filler biologico” è ormai una routine in medicina rigenerativa. Tutti sanno che col proprio grasso è possibile trattare cicatrici, riempire depressioni, ringiovanire un volto stanco e cadente e, perché no, aumentare il volume di un seno svuotato o di un gluteo appiattito. Questa pratica è sicuramente una delle più importanti novità che la chirurgia plastica e la medicina rigenerativa ci hanno regalato negli ultimi anni, ma sicuramente il lipofilling (autotrapianto adiposo) non ha finito di stupirci. Si va infatti sempre più consolidando l’uso delle infiltrazioni di grasso anche in campo ginecologico.
È noto che, a livello dei genitali esterni, la menopausa femminile si accompagna ad una perdita del turgore dei tessuti. Così come nel volto, anche a livello vulvare, il grasso, che sostiene tono e profilo per tutta l’età giovanile, tende con gli anni a riassorbirsi comportando una progressiva flaccidezza dei tessuti. Ma a livello genitale il fenomeno è più complesso; infatti, allo svuotamento delle grandi labbra, si associano anche una certa atonia delle pareti vaginali ed una riduzione della secrezione mucosa. Le conseguenti modificazioni anatomiche e funzionali comportano un ampliamento dell’ostio vulvovaginale (specie se già sottoposto a trauma da parto), una fastidiosa secchezza della superficie mucosa ed una facile alterazione della flora microbica locale.
Sotto il profilo sessuale, l’atonia delle pareti vulvovaginali riduce la percezione della penetrazione e, all’opposto, la ridotta lubrificazione mucosa può comportare difficoltà e dolorabilità dell’atto sessuale. Tutte condizioni che, per un verso o per l’altro, non favoriscono il piacere dei due partner e che quindi possono compromettere gravemente un sano rapporto di coppia. La scleroatrofia di cute e mucose rappresenta anche la drammatica conseguenza del Lichen vulvare, una patologia spesso misconosciuta e sottostimata che purtroppo allarga le conseguenze dell’atrofia progressiva, dell’iposecrezione e della retrazione dell’ostio vulvare a donne anche di giovane età.
In conclusione sono molteplici i quadri degenerativi, che vedono la mano del medico spesso disarmata, o meglio costretta a ricorrere a trattamenti palliativi e comunque cronici a base di cortisone o di ormoni specifici. In un siffatto contesto, facilmente abitato da sentimenti negativi come frustrazione, rassegnazione o addirittura depressione, l’autotrapianto adiposo apre un varco di sano ottimismo. Sappiamo perfettamente che il tessuto adiposo innestato in una diversa regione del nostro organismo è destinato ad un riassorbimento piuttosto importante, tuttavia è parimenti provato come una buona percentuale di cellule adipose sopravviva e con esse una ricca quota di cellule staminali. Ed è’ proprio a questi ultimi elementi che si deve il successivo sviluppo di un ricco reticolo vascolare nel tessuto trattato, che quindi riceve dal trapianto una migliore irrorazione e, con essa, una nuova spinta rigenerativa. Sembrerebbe fantascienza, ma si tratta di risultati ormai consolidati, ai quali si aggiungono conferme sempre più numerose nei convegni nazionali ed internazionali, ove venga affrontato questo particolare ed entusiasmante argomento.
Dulcis in fundo la semplicità della procedura, che può essere eseguita in anestesia locale ed in regime assolutamente ambulatoriale, in sessioni eventualmente ripetibili (due o tre volte) ogni 6- 12 mesi. In definitiva una forma di ringiovanimento vulvovaginale realizzato in via naturale e con una metodica rapida, semplice e soprattutto scevra di complicanze invalidanti: una volta in più una chirurgia plastica volta al vero benessere e non soltanto al culto dell’immagine.