Protesi Seno
Poliuretano o classico Silicone?
Premetto che l’argomento “poliuretano cancerogeno”, riferendosi in particolare a quello impiegato nella schiuma che riveste la superficie delle protesi in questione, è già stato ampiamente dibattuto all’epoca della sua introduzione nel mercato USA , ovvero circa 30 anni addietro. Ampie ricerche ed accurate investigazioni (delle quali, volendo, potrei fornire anche qualche traccia bibliografica) fugarono subito tutti i dubbi insorti sulla materia, tant’è che non ci fu mai un ritiro dal commercio dei prodotti correlati , né un’interruzione nella distribuzione delle protesi inizialmente prodotte da fabbriche USA e Brasiliane. Nel tempo si ebbe poi la chiusura della fabbrica USA dovuta al subentrato divieto statunitense (durato 20 anni) sull’uso di gel di silicone medicale e non per una crisi del mercato delle protesi poliuretaniche. Ne è ampia convalida il fatto che la Polytech tedesca si propose alla Silimed Brasiliana per la condivisione del brevetto e per l’adozione della necessaria tecnologia ad una produzione europea dello stimato prodotto. Attualmente il mercato mondiale è amplissimo e suddiviso fra i due grandi produttori (Silimed e Polytech) e mi consta che, oltre ai rispettivi continenti (America ed Europa), la maggiore richiesta di questi mezzi protesici venga da Corea, Cina e Giappone.
Appare pertanto scontato che, prima la ricerca medica e poi la concreta esperienza di un mercato mondiale che dura da 30 anni hanno decisamente siglato l’innocuità di queste protesi che sicuramente hanno dovuto subire un attacco estremamente energico da un’agguerrita concorrenza commerciale.
Fatta questa premessa sull’aspetto “sicurezza” , mi piace trattare anche gli aspetti “funzionali” di queste protesi del seno.
Prima di tutto rispondo all’accusa che le vede associate al fenomeno “wrinkling”. Questo fenomeno consiste nel ripetersi, a livello della superficie cutanea, di quella fisiologica “plissettatura” che assume il contorno protesico in certe particolari posizioni corporee (ad esempio, nella flessione anteriore del tronco). Si tratta di una plicatura più frequente nelle protesi meno riempite e soprattutto nel caso venga usato un silicone abbastanza fluido. Il fenomeno è comunque naturale in una protesi mammaria ed è normale rimanga visibile nelle persone più magre e nei quadranti mammari ove la cute è l’unico rivestimento alla protesi stessa. Tale condizione si verifica infatti prevalentemente nel quadrante inferiore esterno e, se la protessi fosse impiantata al di sopra del muscolo pettorale (sottoghiandolare), anche nel quadrante interno in pieno decolté.
Si da il caso che fra le protesi rivestite di poliuretano, che io sono solito usare, esiste una classe denominata “sublime line” caratterizzata da un silicone più denso e da un riempimento maggiore a quello abituale. Ciò si traduce in un minore effetto wrinkling rispetto a tutti gli altri mezzi protesici che io abbia provato in passato. Con questo non voglio affermare che con le Polytech sublime line non si ha più il wrinkling, ma senz’altro ho potuto provare, da quando uso soltanto queste protesi (ormai da diversi anni) che tale fenomeno è meno presente che con tutti gli altri mezzi protesici già provati in tempi meno recenti.
Dopo aver esposto i motivi per cui non bisogna assolutamente diffidare delle protesi di poliuretano voglio sinteticamente analizzare 2 ultimi aspetti:
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Perché non sono così diffuse nel mondo dei chirurghi plastici italiani
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Perché mi sono deciso ad usarle e, al momento, non tornerei assolutamente indietro.
Alla prima domanda posso rispondere in base ai vari “sentito dire” ed ai commenti personalmente raccolti nel corso di congressi, convegni, etc. Dalle varie testimonianze ricevute ho concluso che le poliuretaniche non entrano nelle simpatie della maggioranza dei chirurghi italiani per :
- diffidenza precostituita verso il “nuovo/diverso”
- per il costo sicuramente al tetto dei valori di tutte le protesi disponibili sul mercato (il costo delle poliuretaniche è addirittura triplicato rispetto ai minimi disponibili)
- per la difficoltà di “gestione” delle stesse protesi. Si tratta infatti di protesi di posizionamento complesso, che, specie ai primi tentativi, portano facilmente a pessimi risultati estetici e quindi ad un rapido “dietro-front” del chirurgo verso materiali cui più avvezzo.
Ma allora, perché Contreas ed alcuni Colleghi (invero tutti con i capelli ormai più che brizzolati) si ostinano ad usare poliuretaniche?
E’ semplice, basta pensare alle complicanze più classiche della mastoplastica aumentativa:
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capsulite reatraente (rigetto, capsula, indurimento, etc.)
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dislocazione o rotazione.
Si tratta di problematiche che affollano i racconti nei forum femminili, proprio perché entrambe raggiungono incidenze medie rispettive del 18-20% circa dei casi operati. Sostanzialmente nel circa 36-38% dei casi, nell’arco del primo anno dall’intervento di mastoplastica aumentativa, si verifica una capsulite o una rotazione di protesi. Chiaramente il fenomeno non appare così macroscopicamente perché una capsulite di 1° o di 2° grado (semplice indurimento del seno), non porta ad un reintervento immediato (ma sicuramente ad una capsulectomia negli anni a seguire). Così la rotazione delle protesi rotonde non è percettibile dall’esterno proprio per la geometria circolare della protesi. Ma questo invero invoglia molti colleghi ad usare protesi di vecchia concezione e sicuramente molto meno naturali delle anatomiche.
Personalmente non ho voluto rinunciare alle protesi anatomiche, che ho montato da quando sono comparse sul mercato ed ho cercato strenuamente di combattere il problema capsulite che, assieme alla rotazione, affliggeva un’operata su tre. La risposta ai miei sforzi è stata la protesi di poliuretano. Il poliuretano infatti ha una tale affinità con i tessuti biologici, che la capsulite scende a livelli dell’1% ed aderisce alla tasca periprotesica con una tale efficacia, che la rotazione è praticamente impossibile.
In definitiva, su 100 interventi di mastoplastica additiva, invece di vedere scontente ed amareggiate 30-35 pazienti, tale destino è riservato ad 1 sola di esse.
So che a prima vista sembra quasi un discorso da rappresentate di commercio, piuttosto che da chirurgo, ma si tratta della realtà. Non di contenuti pubblicitari, ma di storia vera trascorsa con le mie operate che da anni, ovvero da quando uso le protesi al poliuretano, non ho più dovuto rioperare, né per capsulite, né per rotazione!
Non credo di dover ancora argomentare a favore di mezzi protesici che mi hanno dato tanta fiducia, soddisfazione e gratificazione nella chirurgia aumentativa e ricostruttiva della mammella. Mi dispiace invece che l’ignoranza, l’attenzione al semplice “sentito dire”, l’invidia e, a volte, le armi di un marketing disonesto purtroppo allontanano donne ignare da una soluzione sicura, gratificante e certamente di rara qualità.
Chirurgia Plastica con Risultati Naturali
Prof. Contreas