Chirurgia Plastica e dintorni
Intervista al Prof. Vito Contreas sulla Chirurgia Plastica Estetica
La chirurgia estetica è senz’altro una delle branche della chirurgia plastica che negli ultimi anni ha fatto registrare la crescita più importante.
Di pari passo con l’ avanzare della cultura dell’ immagine’ è cresciuto e si è diffuso in tutti i ceti sociali l’ interesse per per tutte quelle procedure, mediche o chirurgiche, atte a migliorare i lineamenti del viso ovvero il profilo corporeo.
Proprio quest’ultimo è stato oggetto di un enorme incremento di attenzione da parte della gente, che evidentemente non vuole solo apparire e quindi curare l’ estetica del volto, bensì desidera “star bene con se stessa” e perché no, anche col proprio partner.
Il corpo, senza dubbio più del viso, è considerato l’ “oggetto del desiderio” e pertanto rappresenta la più accreditata garanzia per destare o per conservare l’interesse sessuale da parte del partner.
Forse anche per questo è diventato un obiettivo estremamente curato attraverso alimentazione, sport, stile di vita e, perché no, se non se ne può fare a meno, anche attraverso la chirurgia.
Ed è di questa chirurgia che vogliamo parlare, vista la sua enorme attualità ed il diffuso interesse che sta suscitando a tutti i livelli.
LIPOSUZIONE
Sostanzialmente la chirurgia del profilo corporeo s’ identifica con la liposuzione o “liposcultura“, con la chirurgia del seno e con quella dell’ addome.
Esiste anche la chirurgia degli arti, sia superiori che inferiori, ma questa s’ inquadra in un contesto del tutto particolare, riservato ai pazienti che hanno avuto un fortissimo dimagrimento o
che, congenitamente, soffrono di estrema flaccidezza dei tessuti, una peculiarità che invita a trattare l’argomento in un’edizione dedicata.
Tornando quindi alla liposuzione, la cosiddetta “lipo”, nata negli anni settanta dalle mani di insigni maestri come Fischer, Kesserling, Schroeder ed Illouz, ha avuto subito una grande diffusione, specie in Europa dove per l’ appunto è iniziata, forse perché dedicata ad un problema tanto sentito come quello dell’ adiposità, forse perché apparentemente poco lesiva, meno chirurgica
e quindi più “soft”.
Forse perché adattabile alle singole esigenze e quindi anche riducibile a piccole procedure eseguibili in regime ambulatoriale.
Forse per tutte queste ragioni messe assieme, fatto sta che, ad onta di clamorosi incidenti di cui i media hanno fatto sempre ampia pubblicità, è sempre lì, sempre sulla cresta dell’ onda, fra gli interventi più richiesti nel settore della chirurgia plastica estetica.
Bisogna ammettere che questa predilezione del grande pubblico la tecnica se l’è saputa meritare ed infatti in tutti questi anni la liposuzione è cresciuta parecchio.
Nata come il mezzo per rimuovere piccole masse adipose dalla porzione più laterale delle cosce (le famose “culotte de cheval”), è divenuta nel tempo una tecnica in grado di risultati sempre più ambiti e sofisticati.
Fra i primi progressi ricordiamo che da monoplanare è diventata circonferenziale interessando non più il singolo lipoaccumulo, bensì dedicandosi al miglioramento complessivo degli arti.
Poi ha aggiunto al trattamento profondo anche quello superficiale e con questa tecnica si è conquistata la capacità di ottenere la retrazione cutanea e quindi un vero e proprio lift corporeo, al contrario del vecchio adagio che vedeva la “lipo” come causa di sicura flaccidezza residua.
Anche l’anestesia e le tecniche “umide”o addirittura “tumescenti” (associate a voluminosa infiltrazione di liquido) hanno contribuito molto al suo sviluppo.
Si sono scoperti via via nuovi limiti di sicurezza applicabili agli anestetici locali, qualora iniettati in soluzioni estremamente diluite.
Questo ha fatto sì che la procedura si facesse sempre più esangue e che si ampliassero i limiti dell’intervento ambulatoriale, quindi più agile ed eseguibile su un soggetto non allettato.
In tal senso vale ricordare che la precoce mobilità del paziente, associata ad una giusta compressione del segmento trattato, è una delle armi più efficaci contro la trombosi venosa, che a sua volta può dare origine alla più pericolosa e temuta embolia polmonare.
Così interventi più semplificati, ma non meno sicuri, perché più conosciuti, più standardizzati e quindi meglio eseguiti.
Negli ultimi anni la tecnologia ha cercato di associare alla liposuzione altre tecnologie “adiuvanti” l’improba fatica della cannula aspira-grasso.
Così è nata la lipo “ultrasonica” capace di sciogliere il grasso tramite apposite sonde e poi di aspirare l’ emulsione prodotta.
Una tecnica ricca di molte promesse iniziali, ma che per gli alti costi dell’ attrezzatura necessaria e forse anche per qualche inconveniente legato al surriscaldamento delle sonde ultrasoniche, non ha avuto quello sviluppo che ci si poteva attendere.
Un futuro migliore sembra invece quello destinato alla liposuzione “vibroassistita”.
Si tratta di un motore, che, applicato a cannule di foggia tradizionale, riesce ad imprimere loro movimenti circolari e/o di va e vieni, così realizzando autonomamente quell’ opera disgregatrice che, nella procedura tradizionale, viene svolta dall’ aspirazione e dal braccio del chirurgo.
Con l’aiuto di questi presidi l’operatore è estremamente avvantaggiato; infatti, con uno sforzo muscolare estremamente più contenuto, vede amplificata l’ efficacia delle proprie cannule e quindi una riduzione significativa dei tempi di intervento.
Tutto a vantaggio dei pazienti, che riescono a conseguire risultati sempre più gratificanti con interventi sempre più rapidi e meno complessi.
Quindi è venuta l’epoca delle “lipo” importanti, che in un’ unica sessione ti cambiano la vita facendoti perdere anche due taglie!
E non si tratta più soltanto di cosce, ma anche e soprattutto di fianchi e di addome.
Cosa poteva essere migliore in un mondo che da qualche anno non fa altro che proporre “top” supercorti ed ombelico con fianchi in bellavista!
Ecco perché “liposcultura” e non più “liposuzione”: ormai si lavora a 360 gradi su regioni corporee ondulate, sinuose e dai profili delicati.
A noi chirurghi plastici non si chiede più di ridurre un fastidioso “bozzo” sull’ esterno della coscia, ma di ricostruire un profilo su nuovi diametri e per fare questo, a volte, c’ è addirittura bisogno di fare il contrario del solito.
Quante volte infatti si è costretti a levare da un posto ed a mettere in un altro?!?
Ormai è cosa sempre più all’ordine del giorno.
Così si riparano infossamenti dovuti a traumi infantili, ovvero retrazioni esitate a banali iniezioni intramuscolari.
O anche le semplici “clessidre” costituzionali tanto frequenti fra le nostre donne.
Ma perché no: si può anche trasportare il grasso in distretti corporei più distanti: così si riesce a modificare il profilo di un seno, ovvero a riempire un solco del viso, etc.
Infine, da ultima, ma non per ultima, l’ enorme prospettiva che il grasso sta facendo balenare nel mondo della terapia antinfiammatoria e rigeneratrice.
È ormai provato infatti che il contenuto di grandi quantità di cellule staminali rende il proprio grasso capace di migliorare i tempi di guarigione di un’ulcera torpida ovvero di modificare utilmente
la retrazione cicatriziale di un vecchio processo infiammatorio.
Insomma ogni giorno c’è un fatto nuovo e l’orizzonte della vecchia “liposuzione” si fa sempre più ampio e promettente tanto permetterci di affermare la nascita di un presidio nuovo, più completo
e più efficace, che, in versione sicuramente più adeguata, chiameremo LIPOTERAPIA.
MASTOPLASTICA
Ma volendo continuare sul filone principale della chirurgia del profilo corporeo, dobbiamo sicuramente trattare la chirurgia del seno e per assoluta preponderanza della domanda, dedicherei il massimo spazio alla chirurgia aumentativa della mammella.
Parlarne dà un po’ la sensazione di ripetere cose già sentite: le numerose riviste, la televisione, ma soprattutto internet ormai diffondono a tutti i livelli ed a tutte le latitudini nozioni che una volta erano a pannaggio di pochi.
Tuttavia, proprio per questa moltitudine di canali d’informazione tanto diversi fra loro, è facile che sull’argomento si diffonda una cultura approssimativa, se non
addirittura contraddittoria o errata.
Allora colgo l’ occasione per fare un po’ di chiarezza in un settore così all’attenzione di tante lettrici.
Si parla di “chirurgia aumentativa“, quindi volta ad aumentare il volume del seno, ma è inevitabile che essa ne modifichi anche la
forma.
Posizionando infatti un mezzo protesico in sede mammaria, il volume ed il disegno di tale protesi modificheranno inevitabilmente sia il volume che la geometria della mammella operata.
Le vie di accesso alla regione mammaria possono essere diverse: la via ascellare, la circumareolare, l’inframammaria e l’ ombelicale.
Tralasciando quest’ ultima, riservata alle protesi a contenuto acquoso e gonfiabili dopo il posizionamento (poco o nulla usate nel nostro paese), rimangono da chiarire le caratteristiche delle altre tre.
La via ascellare potrebbe sembrare, a prima vista, la più geniale e forse la migliore, ma è quella che offre meno visibilità al chirurgo, che quindi, se vuole eseguire l’ intervento senza rinunciare ad un buon controllo dell’emostasi e delle manovre dissettive, è costretto a dotarsi di una costosa e complessa attrezzatura endoscopica che gli consenta di monitorare la sua azione e soprattutto l’esatta preparazione della tasca protesica.
La via inframammaria è senza dubbio la più rapida e meno indaginosa, sebbene imponga al chirurgo plastricio di lavorare ad una certa distanza dal polo mammario superiore e soprattutto restituisca all’ operata una cicatrice (difficilmente inferiore ai 5 centimetri), che, per quanto sottile, non potrà mai abbronzare e che quindi, soprattutto d’ estate e su un corpo nudo, rappresenterà l’ inconfondibile testimonianza dell’ operazione eseguita.
La via circumareolare comporta un modesto prolungamento della procedura, ma restituisce all’ operatore il vantaggio di un’ottima visibilità del campo operatorio ed alla paziente una cicatrice, che, per la particolarissima posizione anatomica, diventa generalmente impercettibile col passare del tempo.
La maggioranza delle protesi è costituita da un involucro di silicone medicale testurizzato (ovvero reso irregolare per una minore reazione tessutale dell’ organismo ospite e per facilitare l’ adesione della protesi alle pareti della tasca che l’ avvolge), che contiene un gel di silicone medicale, oggi quasi sempre nello stato cosiddetto “coesivo”.
In pratica si vuole evitare che un gel troppo fluido abbia a diffondersi in caso di rottura dell’ involucro e soprattutto che si raccolga sul fondo della stessa protesi determinando delle plicature nel contorno protesico, che rischierebbero di trasparire a livello della superficie esterna della mammella.
Quindi: protesi testurizzate, in gel coesivo di silicone medicale, di forma rotonda o ancora meglio “anatomica”.
Indubbiamente quest’ultimo modello sta gradualmente soppiantando il primo, in quanto viene preferito per la naturalezza della forma (a goccia) e per la possibilità di associare, per ogni singolo caso, altezza, diametro e proiezione, in funzione dell’ anatomia e delle aspettative della paziente.
In tal senso vale sottolineare che il chirurgo ormai non ragiona più in termini di volume (2°, 3° o 4° misura, etc), bensì ormai si è tutti concordi sul privilegiare un criterio anatomico, ovvero basato sul diametro e sull’ altezza della loggia mammaria.
Va infine considerato il piano di posizionamento della protesi.
Questa infatti può essere introdotta sia immediatamente al di sotto della ghiandola mammaria (intervento più rapido e sicuramente meno doloroso nell’ immediato postoperatorio), che sotto il muscolo pettorale.
In quest’ ultimo caso, un tempo chirurgico più lungo ed un postoperatorio un po’ più impegnativo vengono compensati da una maggiore garanzia che la protesi, specie nei generosi decolté proposti dall’intimo di moda, non abbia mai a rendersi visibile con inestetici solchi parasternali o con il classico “scalino”, che conferisce al polo mammario superiore il tipico effetto “bersaglio” dei seni operati.
Quindi, per concludere: protesi anatomiche, in gel coesivo, testurizzate in superficie e posizionate in una tasca ricavata al di sotto del muscolo pettorale.
Ma l’organismo ospite, i tessuti periprotesici, cosa ne pensano di questa “intromissione”?
Infezione ed ematoma sono complicanze postoperatorie sicuramente possibili come in tutti gli atti chirurgici, ma fortunatamente, in questo caso, estremamente rari.
Quello che invece può accadere più realisticamente e che è più tipico di questo tipo di chirurgia, ci riconduce ad una vera e propria reazione dei tessuti al corpo estraneo che è stato inserito.
Qualcuno parla infatti (impropriamente) di “rigetto”, ma i termini più usati sono “capsula” o “capsulite”.
In effetti può capitare che l’involucro fibroso costituito dall’organismo attorno alla protesi, invece di conservarsi morbido e sottile, assuma un particolare spessore e addirittura acquisisca una tendenza alla retrazione.
In questa spiacevole evenienza il seno si fa più compatto, più sferico e tendente a risalire verso la spalla.
Esistono numerose tecniche per cercare di ovviare a questo spiacevole incidente di percorso, da semplici medicamenti antireattivi o miorilassanti, ad energici massaggi (squeezing), all’ iniezione di preparati cortisonici e finalmente alle più recenti infiltrazioni di cellule staminali.
Va da sé che, qualora tutti questi presidi dovessero fallire, andrebbe considerata l’ipotesi di un reintervento (possibile anche ambulatoriamente), che consisterebbe nell’asportare la capsula “retratta” e nell’inserire una nuova protesi nella tasca neoconfezionata.
In tema di convalescenza, nell’ ambito, fortunatamente più frequente, di un postoperatorio normale e riferendomi all’aumentativa sottomuscolare, che oggi è senza dubbio la tecnica più adottata, dico sempre alle mie pazienti di preventivare almeno una settimana di riposo.ù
Non c’è bisogno di stare a letto, ma è bene non essere costrette a posizioni obbligate ovvero a movimenti impegnativi per le braccia.
Nei primi giorni dopo l’operazione molti chirurghi estetici preferiscono lasciare un drenaggio che pure contribuisce a limitare l’autonomia della paziente, ma dopo una settimana, ormai sicuramente senza drenaggi e con una medicazione estremamente leggera, ella può addirittura riprendere a guidare l’auto, purché munita di servosterzo.
Dopo 15 giorni (saranno state rimosse anche le suture), potrà tornare ad un’attività lavorativa normale, alla cyclette o ad altri esercizi limitati agli arti inferiori.
Dopo 30-45 giorni sarà pronta per qualsiasi attività lavorativa, anche pesante, e per tutte le pratiche ginnico-sportive.
Il seno viene inizialmente immobilizzato in un bendaggio, ovvero in un reggiseno particolarmente contenitivo (personalmente uso un semplice indumento ad apertura anteriore previsto per l’impiego durante le attività sportive), ma dopo le prime 3 o 4 settimane, quando peraltro si sarà riassorbito il gonfiore postoperatorio, si potrà passare all’intimo preferito.
In definitiva un intervento sicuramente molto efficace che, a volte, riesce a capovolgere le sorti fisiche e psichiche di una donna, ma che come tutte le procedure chirurgiche può essere limitato da controindicazioni e gravato da complicanze e che, soprattutto, non può garantire un risultato univoco a tutte le pazienti.
Diverso è infatti il risultato in una ragazza che non ha mai avuto seno (ipoplasia), da quello di una giovane mamma che ha visto la sua III o IV misura sfiorire dopo un allattamento (ipotrofia).
E’ logico che nel primo caso, la scelta delle protesi sarà condizionata da forti limitazioni, sicuramente inesistenti nel secondo, ove un’areola dilatata e un tessuto già precedentemente disteso faciliteranno il posizionamento delle protesi con un effetto finale sicuramente più naturale e gratificante.
Per gli stessi motivi di ordine squisitamente anatomico, non potrà aspettarsi un completo “restauro” quella paziente che, oltre ad aver avuto uno svuotamento ghiandolare (ipotrofia), presenterà anche problemi di “caduta” del seno (ptosi).
In tal caso sarà probabilmente necessario associare alla protesi anche la resezione della pelle in eccesso, con conseguenze inevitabili sul decorso delle cicatrici e sull’ aspetto “giovanile” del risultato finale.
ADDOMINOPLASTICA
A proposito dell’ ultimo argomento di questa rassegna, va detto che una pancia piatta, con un profilo morbido e sinuoso ed un ombelico ben disegnato nel centro, rappresenta senz’ altro uno dei target oggi più ambiti dalla maggior parte delle donne.
Il culto dell’ immagine corporea, quotidianamente celebrato attraverso i tanti esempi proposti dalla comunicazione mediatica, una volta riservato alle parti più scoperte come il viso e le gambe, oggi individua nel seno e nella pancia due punti di massimo interesse.
La moda fa il resto ampliando i decolleté, accorciando i top ed abbassando il punto vita di gonne e pantaloni.
Allora, come dicevo in apertura, una bella pancia è diventato un vero e proprio “must”, ma questo non è uno di quei casi nei quali volere è uguale a potere.
Infatti non basta una dieta o la palestra a ridare il tono e freschezza ad un addome sfiancato dalle gravidanze, ovvero mille costosissime creme a far scomparire smagliature o pinguedine in
eccesso.
La volontà applicata ad una vita sana rappresenta il migliore presupposto per una figura snella e gradevole, ma purtroppo si tratta di un binomio estremamente difficile da realizzare.
Ed è qui che si comincia a pensare alla chirurgia plastica, unico toccasana per un certo tipo di problemi.
In effetti il bisturi può fare molto per dare all’addome una silhouette gradevole: si parla generalmente di addominoplastica, ma è sempre indicata un’ addominoplastica?
Quali le possibili alternative?
Ed in cosa consiste realmente l’intervento?
Esiste una sola tecnica o ce ne sono diverse?
… Come al solito, quando si affrontano questi argomenti ci si trova facilmente nel bel mezzo di una gran confusione che non giova a nessuno: né al paziente, né tantomento al chirurgo plastricio.
Così mi piace mettere un po’ d’ordine e, se possibile, ridimensionare qualche vecchio concetto che generalmente allontana molti pazienti da una chirurgia che non va temuta, ma sicuramente rispettata per la sua complessità e poi soprattutto ringraziata per i grandi risultati che può rendere.
Iniziamo con un cenno di anatomia ricordando che la parete addominale è rappresentata da tre componenti: la cute, il grasso sottocutaneo e lo strato muscolare più profondo.
Possiamo avere problemi in uno di questi settori, in due dei tre o in tutti e tre.
Così una ragazza può essere affetta esclusivamente da un accumulo della componente adiposa, mentre una giovane mamma può lamentarsi soltanto di una perdita del tono muscolare, semmai complicata da una “medusa” di strie attorno all’ ombellico.
Come pure, specie dopo un forte dimagrimento, si può determinare una flaccidezza del mantello cutaneo ed invece, all’ opposto, per la presenza di abbondanti depositi adiposi, ci può essere un addome teso e globoso.
Ad ogni tipo di problema corrisponde una risposta terapeutica specifica, per cui il semplice accumulo adiposo sarà trattato con la suzione (liposcultura), mentre un difetto prevalentemente
cutaneo prevedrà una resezione chirurgica dell’ eccesso di pelle (dermolipectomia) ed infine il cedimento muscolare andrà corretto con una plastica idonea, a volte supportata dal posizionamento di specifiche reti di contenimento (addominoplastica).
Va comunque considerato che difficilmente ci si trova di fronte ad un difetto “puro”, mentre è molto più comune competere con un’ associazione di più problematiche, per cui è quasi la regola doversi curare della struttura muscolare e della cute allo stesso tempo, come pure diviene sempre più frequente associare, nella stessa seduta operatoria, la liposuzione all’addominoplastica
(lipoaddominoplastica).
Altra problematica riguarda l’ ombelico; infatti, se l’ eccesso cutaneo è limitato alla regione più bassa dell’ addome (sovrapubica), si reseca la componente sovrabbondante senza interessare la struttura ombelicale.
Quando invece esiste un modesto eccesso di pelle anche nella porzione alta dell’ addome, al di sotto dell’ arcata costale, la cicatrice ombelicale viene distaccata dalla sua sede e fatta scivolare 1 o 2 cm. più in basso.
Se infine l’eccesso cutaneo sopraombelicale è importante, allora l’ ombelico viene lasciato dov’è, ma separato dal contesto della cute addominale per mezzo di un’ incisione circolare, sicché il mantello cutaneo può scivolare su di esso fino al raggiungimento della giusta tensione.
E’ logico che per interventi tanto diversi ed in considerazione delle condizioni psicofisiche del paziente, possono essere previste metodologie operative altrettanto varie: dalla liposuzione ambulatoriale in anestesia locale, all’ intervento in regime di ricovero(1 o 2 notti di degenza) in anestesia epidurale o generale.
Infine la convalescenza postoperatoria, brevissima per i casi più semplici, può prolungarsi alle due o anche tre settimane per quelli più complessi.
Al di là della metodica di scelta si tratta comunque di una chirurgia per mani esperte, ma capace di recare tante soddisfazioni, sia a chi la fa che a chi la riceve.
Chirurgia Plastica con risultati naturali
Prof. Contreas